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Regolamento penitenziario provvisorio Casa di reclusione e lavoro di Saluzzo del 1828

Il "Regolamento provvisorio della nuova casa di reclusione e di lavoro di Saluzzo" pubblicato dalla Stamperia Reale nel 1828

Ecco la copia del “Regolamento provvisorio della nuova casa di reclusione e di lavoro di Saluzzo” pubblicato dalla Stamperia Reale nel 1828.

Da quando esiste il carcere disciplinare moderno i rapporti tra diritto e carcere sono stati assai problematici. La prigione ha da sempre cercato di sottrarsi ai controlli della legge e dei suoi principi, attraverso la proclamazione della autonomia del carcerario rispetto al potere giudiziario e ad ogni ingerenza della grammatica del diritto. Michel Foucault ha ben evidenziato la contrapposizione tra città punitiva e istituzione punitiva che i riformatori settecenteschi si trovarono a dover risolvere, ovvero il dissidio tra la strategia dei giuristi riformatori, per la quale “la punizione è una procedura per riqualificare gli individui come soggetti di diritto” e quella dei fautori dell’istituzione penitenziaria, per la quale “la punizione è una tecnica di coercizione degli individui”.

Seguendo la lettura che uno dei più autorevoli storici dell’istituzione penitenziaria italiana, Guido Neppi Modona, le tre ragioni che storicamente hanno reso difficili i rapporti tra legge e diritto sono le seguenti:

  1. a) l’isolamento dell’istituzione penitenziaria rispetto alla società dei liberi che ha prodotto una ridotta visibilità delle relazioni tra custodi e custoditi e, conseguentemente, una maggiore probabilità di abusi e violazioni dei diritti dei detenuti che situazioni di non trasparenza possono creare.
  2. b) La componente di violenza che per lungo tempo ha caratterizzato i rapporti tra custodi e custoditi. Violenza che non solo è rimasta latente nelle relazioni informali tra i soggetti che compongono l’universo carcerario, ma che è stata in parte legittimata da regolamenti interni che ammettevano l’uso della forza “in casi eccezionali”. La comunità carceraria, quindi, a lungo è stata caratterizzata dalla presenza di regole di condotta fondate sulla prevaricazione e sulla violenza, potremmo dire una sorta di stato di natura che si contrappone allo Stato di diritto.
  3. c) La stessa struttura organizzativa dell’amministrazione penitenziaria si è caratterizzata da sempre secondo il modello organizzativo della gerarchia militare, modello nel quale, come noto, l’autoritarismo e l’uso della forza non sono certo estranei.

Per questi motivi la stessa esistenza di un regolamento interno per un carcere come quello di Saluzzo nel 1828 va considerata un elemento di civilizzazione dei rapporti tra custodi e custoditi non certo secondario. Il regolamento venne approvato dalla Segreteria di Stato con ogni probabilità con la consulenza di Giacomo Caorsi  che sarebbe poi stato chiamato a dirigere il carcere di Saluzzo alla sua inaugurazione del 9 dicembre 1828.

È da notare che contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere i primi 21 articoli del regolamento non riguardano il comportamento dei detenuti, ma quello di quelli che oggi chiameremmo operatori penitenziari. Ciò dimostra come uno dei problemi che il Governo sabaudo si trovò a superare fu proprio quello di costruire, a partire dagli operatori che avrebbero dovuto gestirla, un’istituzione totale per quei tempi sconosciuta. Da sottolineare l’esiguità del corpo di custodia previsto all’art. 1 in sole 5 unità (un capoguardia e 4 guardiani) a fronte dei circa 400 detenuti previsti per l’istituto! All’art. 6 è prevista l’istituzione di ispettori “tra le persone più rispettabili della Città” che dovranno occuparsi di raccogliere le lagnanze dei detenuti e di riferirle agli organi competenti, dimostrando in tal modo come il Governo si fidasse assai poco della probità e della correttezza degli stessi guardiani.

Da segnalare inoltre all’art. 14 il fatto che “i Guardiani dovranno trattare li detenuti con dolcezza, ed umanità, e sarà loro vietato rigorosamente di batterli, o maltrattarli” e anche quando essi violeranno il regolamento le sanzioni previste non sono corporali, ma prevedono solamente restrizioni del regime detentivo (cfr. art. 34). Questi elementi di estrema mitezza del regime detentivo confermano nella scrittura del regolamento l’influenza di Giacomo Caorsi che dichiarerà a più riprese la sua contrarietà alle pene corporali  e questo sarà uno dei motivi che porteranno al suo allontanamento dalla Castiglia. Per il resto, il trattamento del detenuto è regolato dettagliatamente a partire dal suo ingresso in istituto (art. 22), dalla successiva visita medica (art. 23), dal suo assegnamento ad un qualche tipo di lavoro (art. 24) che verrà parzialmente retribuito (art. 25). Vengono indicati la sua dotazione di vestiti e suppellettili (art. 26, 27 e 28) e la sua giornata è scandita, sin dalla sveglia all’alba, dal suono di un campanello che indica il passaggio delle varie attività (art. 29). I detenuti lavorano insieme nei cameroni, ma osservando il “più rigoroso” senza cantare e senza abbandonare il posto di lavoro senza permesso (art. 31). Si vede qui all’opera il cd. modello detentivo del carcere statunitense di Auburn che si contrapponeva a quello cd. filadelfiano che prevedeva invece l’isolamento sia diurno che notturno del detenuto. Ogni detenuto è distinto con un numero che segnerà anche il suo letto e il suo vestiario (art. 40). È proibito ai detenuti giocare a qualunque gioco (art. 44) e anche “l’uso delle bevande spiritose è indistintamente vietato ai ditenuti: quanto al vino, non si permetterà, se non che moderatamente, e colle necessarie precauzioni, onde impedirne l’abuso, che facilmente trascina all’insubordinazione, ed ai delitti” (art. 46). Come si può notare, il regolamento cercava di vietare quei comportamenti che invece erano così frequenti nelle prigioni premoderne. Ma, a riprova dei difficili rapporti tra carcere e regole, Carlo Ilarione Petitti di Roreto nelle sue ispezioni a Saluzzo del 1835 e del 1837 constatò come molti articoli del regolamento di Saluzzo fossero ampiamente disattesi, in misura tale da compromettere lo stesso esito rieducativo della pena detentiva.

a cura di Claudio Sarzotti

 

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