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Alcatraz, un film sul carcere che sevizia

Recensione “L’isola dell’ingiustizia - Alcatraz” di Marc Rocco, 1995

Recensione “L’isola dell’ingiustizia – Alcatraz” di Marc Rocco, 1995

di Costanza Agnella

Il film racconta la scomoda vicenda delle torture subite dai detenuti nelle celle di isolamento del famoso penitenziario di Alcatraz, attraverso la storia romanzata di Henri Young, detenuto realmente esistito e famoso per avere tentato, insieme ad altri reclusi, un’evasione nel 1939.

Il tentativo non va a buon fine e il detenuto viene ricondotto in prigione. Come punizione il condirettore della prigione, il sadico Milton Glenn, decide di emettere un provvedimento disciplinare che dispone l’isolamento di Young. La normativa penitenziaria dell’epoca prevede che l’isolamento disciplinare non possa avere durata superiore a diciannove giorni. L’isolamento di Young dura tre anni, durante i quali gli vengono inflitte numerose torture come quella di tenerlo legato, nudo, fornendogli poche razioni di cibo e sottoponendolo a numerosi pestaggi da parte degli agenti di polizia. Efficace è il modo in cui il film mostra gli episodi di tortura, alternando alle scene di sofferenza vissute nell’oscurità dell’isolamento, la luce e la bellezza dei paesaggi limitrofi all’isola di Alcatraz, dalla vista sul mare a quella sul ponte di San Francisco.

Al termine dell’isolamento Young uccide, in un momento di follia, il detenuto che, tre anni prima, aveva denunciato all’amministrazione l’evasione, pur avendo preso parte a essa. La difesa dell’ormai imputato Young viene affidata a un giovane difensore d’ufficio, James Stamphill. L’avvocato, dopo aver compreso in quale stato avanzato di confusione mentale si trovi il suo cliente, denuncia l’amministrazione di Alcatraz per le torture inflitte a Young, cercando di dimostrare che il vero responsabile dell’omicidio è proprio il penitenziario della California (da qui il titolo originale del film “Murder in the First”). La parte processuale del film riesce a restituire il clima di omertà diffuso sia tra gli appartenenti dell’amministrazione che tra i detenuti: i primi non parlano perché conniventi e i secondi perché temono ripercussioni.

Un po’ prison movie, un po’ legal movie, il film riesce a raccontare il tema della tortura nelle carceri in modo crudo e diretto, senza risultare voyeuristico. L’interpretazione di Kevin Bacon nel ruolo di Young ha il pregio di mostrare allo spettatore i terribili effetti fisici e psichici che la tortura può causare anche in modo permanente. Inoltre, il film pone l’accento sull’incompatibilità tra l’utilizzo della tortura e la finalità dell’istituzione, che dovrebbe essere quella di riabilitare l’individuo. La lettura, effettuata con la voce fuori campo, della definizione del termine “riabilitazione” durante le scene di tortura mette lo spettatore a contatto con l’ipocrisia dell’amministrazione del contesto carcerario di riferimento.

Il film è del 1995 e narra una vicenda a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 del ‘900, può quindi risultare parzialmente datato. Nonostante ciò, può sicuramente essere un modo per approcciare il tema della tortura all’interno dell’istituzione carceraria. Il tema è particolarmente attuale, nel contesto carcerario e non, in Italia, dove il Senato ha approvato il 17 maggio scorso un testo di legge per l’introduzione del reato di tortura, con forte ritardo rispetto alla Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984, immediatamente firmata da nostro Paese e ratificata nel 1989. Peraltro, il testo, così come approvato dal Senato, non considera la tortura come un reato proprio del pubblico ufficiale, bensì come un reato comune, che tutti possono commettere, discostandosi in questo modo dalla definizione di tortura contenuta nella suddetta Convenzione. Inoltre, il testo uscito dal Senato prevede che il fatto sia punibile se compiuto mediante «più condotte»; il che, con parole diverse reintroduce il concetto espresso in un precedente articolato, ove si pretendeva che le violenze o le minacce gravi fossero «reiterate». Come a dire che una singola tortura non costituirebbe reato.

Pertanto, nell’attesa della decisione della Camera sul testo di legge menzionato, è bene mantenere alta l’attenzione sulla tortura nel nostro Paese e un film come questo può contribuire a stimolare il dibattito sull’argomento.

biografi@museodellamemoriacarceraria.it

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