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Giulia Colbert Falletti Marchesa di Barolo (1785 – 1864)

La storia di Giulia Colbert Falletti Marchesa di Barolo che per prima, sin dal 1821, ha avuto dal governo piemontese la gestione del carcere femminile delle Forzate a Torino

Detenute coi loro figli al carcere di Tothill Fields (1862)
Giulia Colbert ritratta da Pietro Ayres (1830 ca.)

Giulia Colbert ritratta da Pietro Ayres (1830 ca.)

La pena del carcere per le donne nel Regno Sabaudo ha una storia in parte autonoma da quella maschile, legata alla figura di Giulia Colbert Falletti Marchesa di Barolo che per prima, sin dal 1821, ha avuto dal governo piemontese la gestione del carcere femminile delle Forzate a Torino.

Ancora per qualche anno, tuttavia, le detenute scontano la loro pena nelle stesse carceri giudiziarie maschili.

Sarà solamente con l’uso esclusivo per le donne del carcere centrale di Pallanza a partire dal 1835 che il legislatore sabaudo si porrà il problema della costituzione e della gestione di istituti penitenziari esclusivamente dedicati alle donne.

Anche Il progetto del carcere di Saluzzo originariamente prevedeva la presenza di detenute donne.

In realtà questa scelta non viene attuata e la presenza femminile a Saluzzo continua ad essere rappresentata dal carcere giudiziario (maschile e femminile) collocato nel palazzo delle Arti liberali sulla Salita per il Castello (a circa 200 metri da questo museo).

La vicenda della Colbert si chiude nel 1850 quando lo Stato sabaudo decide che la funzione punitiva non poteva più essere delegata a soggetti privati come la Marchesa, velatamente accusata anche di aver fatto proselitismo religioso e di non garantire sufficientemente il principio della laicità dello Stato e il rispetto dei regolamenti.

La Falletti, delusa da questo trattamento, intenta (e vince) una causa di risarcimento per il rimborso delle ingenti spese da lei affrontate per la gestione e i lavori di ammodernamento del carcere delle Forzate di Torino.

Giulia Colbert, mossa da un forte sentimento religioso, non si limita ad esercitare la pietà cristiana verso le detenute, ma si ispira alle esperienze filantropiche dell’epoca, entrando in contatto in particolare con Elizabeth Fry benefattrice delle carceri femminili inglesi.

La sua opera di rieducazione si manifesta nell’opera di alfabetizzazione e insegnamento religioso alle recluse, nonché nell’accoglierle dopo la scarcerazione in un casa di lavoro denominata il Rifugio, in grado di ospitare sino a 200 donne.

Il suo interesse per la detenzione si sarebbe mostrato anche nella decisione di fornire ospitalità e lavoro come bibliotecario nella sua casa a Silvio Pellico, reduce dalla terribile esperienza della relegazione alla fortezza dello Spielberg.

“Le tracce che il crimine sembra dover lasciare nell’individuo capace di commetterlo, la sua esistenza dopo il crimine, la sua punizione, mi hanno fortemente occupata tutta la vita. Fin da bambina ricordo la curiosità eccessiva intrisa di terrore, con la quale io guardai il primo criminale che vidi portare in carcere. Al primo momento non osavo fissarlo. Temevo di vedere in tutti i suoi tratti l’espressione orrida del suo animo. L’orrore che provavo per la sua azione mi persuadeva che essa doveva aver lasciato un’impronta visibile. Il mio stupore fu grande nello scorgere soltanto l’arroganza. Io riflettei poco allora ma da allora, la stessa curiostà mi eccitò: ed era sempre con un sentimento indefinibile di pietà e di terrore che io esaminavo tanto in Francia quanto nei miei viaggi, i disgraziati condannati che si incontravano talvolta sulle strade. La loro sorte mi preoccupava. Mi sembrava che la punizione non fosse inflitta in modo da produrre il migliore effetto, perché essa non è completa, essa non è conforme alle leggi della religione se non corregge, se almeno non tende a correggere. Non basta punire il malvagio togliendoli la libertà di fare il male. Bisogna anche insegnarli a fare il bene. È dunque necessario che, quando la giustizia ha esaurito il suo compito, lasci che la carità cominci il suo. Ho visitato parecchie carceri. Ho assunto delle informazioni e niente di ciò che potevo raccogliere andava d’accordo con l’idea che io mi ero fatta riguardo ad un carcere.
(G. Colbert Falletti)“

info@museodellamemoriacarceraria.it

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