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La Banda Sacco

La storia della Banda Sacco è legata alla carcerazione alla Castiglia di Saluzzo: Salvatore è scarcerato da Saluzzo nel 31 ottobre 1962, Alfonso il 24 settembre 1963

La copertina de la Banda Sacco di Camilleri

I FRATELLI SACCO

La notizia su La Stampa della scarcerazione di Alfonso Sacco

La notizia su La Stampa della scarcerazione di Alfonso Sacco

Altra vicenda che ha il suo epilogo carcerario a Saluzzo nei primi anni ‘60 è quella dei fratelli Sacco (Alfonso e Salvatore). Si tratta di una storia dai toni epici che ha il suo inizio negli anni Venti in Sicilia, a Raffadali, paesone a 15 chilometri da Agrigento. La famiglia Sacco (6 figli, 5 maschi e una femmina), con il duro lavoro dei campi e l’intelligenza contadina che sa far fruttare anche la terra più arida, si sta affermando socialmente. Acquista terreni, costruisce piccole case per i figli, si mostra prodiga di aiuti per i poveri verso i quali la porta di casa è sempre aperta.

Questo modesto benessere non passa inosservato: i campieri della mafia locale vengono a chiedere il pizzo. Il capofamiglia rifiuta sdegnato e segna l’inizio della persecuzione. I Sacco sono costretti a difendersi, girano armati, sempre in gruppo, attenti ad ogni agguato. Il padre viene ucciso e i figli vengono accusati ingiustamente di reati che prevedono il ritiro del loro porto d’armi. È il segnale che anche lo Stato non li protegge e l’unica via è quella della latitanza.

D’ora in poi i Sacco si troveranno tra l’incudine dalla mafia e il martello delle forze dell’ordine. La ricostruzione dei fatti diventa incerta. Alcuni capi bastone locale vengono trovati morti sulle strade di campagna del circondario; un tiratore infallibile li ha colpiti con un colpo solo di fucile in mezzo alla fronte.

Chi sono i misteriosi giustizieri? Le sentenze dello Stato riconosceranno colpevoli di questi delitti i tre fratelli Sacco (Alfonso, Giovanni e Salvatore) che nel 1926 verranno condannati dalla Corte d’Assise di Agrigento all’ergastolo.

I Sacco si sono sempre dichiarati innocenti di quei delitti e accusano la mafia di averli commessi per liberarsi, per mezzo dello Stato, del loro disturbo. In ogni caso inizia per i tre fratelli una lunga odissea carceraria per le carceri italiane che, per due di essi, trova nel carcere di Saluzzo l’esito finale della grazia dopo 36 anni di reclusione: Salvatore è scarcerato nel 31 ottobre 1962, Alfonso il 24 settembre 1963.

Camilleri ha dedicato alla vicenda dei fratelli Sacco un romanzo che ha scritto avendo avuto la possibilità di consultare la documentazione d’archivio messagli a disposizione dalla famiglia Sacco

Camilleri ha dedicato alla vicenda dei fratelli Sacco un romanzo che ha scritto avendo avuto la possibilità di consultare la documentazione d’archivio messagli a disposizione dalla famiglia Sacco

Un doppopranzo Vanni, che sinni assittato ‘n terra in un angolo della cella, con la testa tra le mano, isanno l’occhi per caso, ha la ‘mpressioni che il carzareri, vinuto tanticchia prima a ispezionari la tinuta delle inferriate della finestra, si è scordato di ’nserrari beni la porta della cella. Talia meglio e si adduna con estremo stupore chela porta è addirittura accostata! (…) Nel càrzaro regna un silenzio innaturale. È come se tutti l’autri carzarati dello stisso braccio fossero stati fatti nesciri fora dalle loro celle e portati in un autro posto. Immediatamente, Vanni s’immagina un trainello priparato per livarlo di mezzo. Di certo, pensa, darrè la porta c’è qualichiduno appostato che appena lo vidi che sta niscenno dalla cella gli spara alle spalli. (…) Ma doppo tanticchia non ce la fa cchiù a non cataminarisi, l’invito di quella porta che abbasta un leggerissimo ammuttuni per raprirla completamente è irresistibile. Si susi addritta, si avvicina alla porta, la spalanca lentissimamente, millimetro appresso millimetro, sintennosi vagnare tutto di sudore. Non c’è nisciuno nel corridoio, le autre celle sono tutte vacanti. (…) Ora ha davanti a lui un granni cortile. Non si vidi anima criata e Vanni s’addecide a percorrerlo lentamenti, un pedi leva e l’autro metti, squasi trasognato, ma aspettandosi da un momento all’autro una tradimentusa fucilata alle spalli che lo farà cadiri morto ‘n terra affacciabocconi. In funno al cortile c’è un’autra ‘infirriata oltre la quale si apre un androne indove di solito stazionano almeno dù guardie carzararie. Stavota invece non c’è nisciuno. Ora Vanni ha davanti a lui il granissimo portone del càrzaro che gli pari accuratamente sprangato. Si senti moriri il cori: se il portoni è inserrato veni a diri che tutto è stato ‘na pigliata per il culu, da un momento all’autro guardie e carzarati si faranno vivi e rideranno di lui. Ma un attimo appresso s’adduna che la porticina ricavata in un’anta lascia passari un filo di luci. La spinge quel tanto che abbasta e di colpo s’attrova fora dal càrzaro. Nisciuna guardia in vista. (…). È libero! S’addirige a pedi verso Raffadali.
(A. Camilleri, La banda Sacco, 2013, racconto dell’evasione di Giovanni Sacco dal carcere di Aragona)

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