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Patrioti risorgimentali

La storia di Silvio Pellico, originario di Saluzzo e degli altri patrioti risorgimentali rinchiusi nelle prigioni asburgiche.

Sentenza di condanna di Pellico e Maroncelli del Tribunale di Venezia (21 febbraio 1822)

Sentenza di condanna di Pellico e
Maroncelli del Tribunale di Venezia
(21 febbraio 1822) Museo Risorgimento Milano

La vicenda di Silvio Pellico e degli altri patrioti risorgimentali rinchiusi nella fortezza dello Spielberg, situata presso la città morava di Brno, corre parallela a quella dei detenuti politici sabaudi. Oltre al processo contro Pellico e l’amico Piero Maroncelli vengono qui rievocati altri personaggi della detenzione politica nell’Impero asburgico accomunati al saluzzese dalla relegazione allo Spielberg.
Tutti i personaggi qui ricordati ebbero in comune l’aver scritto le loro memorie carcerarie anche in seguito all’enorme successo avuto da Le mie prigioni. Tali scritti rappresentano l’utile complemento alla ricostruzione di Pellico della vita all’interno dello Spielberg, ricostruzione che è stata talora accusata di aver edulcorato la crudeltà del regime detentivo asburgico e dei guardiani allo scopo di celebrare la superiorità del perdono cristiano.

Acquerello anonimo dell’amputazione a Piero Maroncelli (Museo Risorgimento Milano)

Acquerello anonimo dell’amputazione a Piero Maroncelli (Museo Risorgimento Milano)

L’abate Wrba, nostro confessore (succeduto a Paulowich), venne ad amministrare i sacramenti all’infelice.
Adempiuto questo atto di religione, aspettavamo i chirurgi, e non comparivano. Maroncelli si mise ancora a cantare un inno. I chirurgi vennero alfine: erano due. Uno, quello ordinario della casa, cioè il nostro barbiere, ed egli, quando occorrevano operazioni, aveva il diritto di farle di sua mano e non volea cederne l’onore ad altri. L’altro era un giovane chirurgo, allievo della scuola di Vienna, e già godente fama di molta abilità. Questi, mandato dal governatore per assistere all’operazione e dirigerla, avrebbe voluto farla egli stesso, ma gli convenne contentarsi di vegliare all’esecuzione.
Il malato fu seduto sulla sponda del letto colle gambe giù: io lo tenea fra le mie braccia. Al di sopra del ginocchio, dove la coscia cominciava ad esser sana, fu stretto un legaccio, segno del giro che dovea fare il coltello. Il vecchio chirurgo tagliò tutto intorno, la profondità d’un dito; poi tirò in su la pelle tagliata, e continuò il taglio sui muscoli scorticati. Il sangue fluiva a torrenti dalle arterie, ma queste vennero tosto legate con filo di seta.
Per ultimo, si segò l’osso. Maroncelli non mise un grido. Quando vide che gli portavano via la gamba tagliata, le diede un’occhiata di compassione, poi, voltosi al chirurgo operatore, gli disse: «Ella m’ha liberato d’un nemico, e non ho modo di rimunerarnela». V’era in un bicchiere sopra la finestra una rosa. «Ti prego di portarmi quella rosa» mi disse. Gliela portai. Ed ei l’offerse al vecchio chirurgo, dicendogli: «Non ho altro a presentarle in testimonianza della mia gratitudine.» Quegli prese la rosa, e pianse. (S. Pellico Le mie prigioni, 1832)

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