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Quando il lavoro può rendere liberi. Dal carcere alla vita

Dei circa 58mila detenuti, 15mila lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Il lavoro “contaminato” con l’esterno, la società, fa invece fatica a decollare, riguarda meno di 3000 detenuti

«Il carcere non deve chiudersi su se stesso. Se manca un orizzonte aperto sei su un’isola, com’era un tempo a Pianosa, all’Asinara». Luigi Pagano, che a Pianosa e all’Asinara ci è stato da vice direttore, comincia da qui. Da quelle fortezze impenetrabili, sbarrate al mondo esterno, esattamente il contrario di…

«Il carcere non deve chiudersi su se stesso. Se manca un orizzonte aperto sei su un’isola, com’era un tempo a Pianosa, all’Asinara». Luigi Pagano, che a Pianosa e all’Asinara ci è stato da vice direttore, comincia da qui. Da quelle fortezze impenetrabili, sbarrate al mondo esterno, esattamente il contrario di quello che  lui vorrebbe vedere e per cui lavora da una vita. Dopo un periodo romano (era vice capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria) è da poco tornato come Provveditore regionale alle carceri a Milano, dove aveva diretto San Vittore e aperto, nel 2001, la struttura di Bollate.

«Non mi piace la definizione di “carcere modello” che spesso viene associata a Bollate», sottolinea, «Bollate non è un modello originale, si rifà all’ordinamento legale del 1975. In Italia sembra che il non originale non vada bene: ma anche solo poter applicare la legge diventa rivoluzionario. In questo caso è una rivoluzione normale, nel doppio senso del termine. La fortuna che abbiamo avuto è stata di avere un terreno vergine. Partendo dall’esperienza di San Vittore, si è lavorato specialmente in negativo: quello che non andava bene a Milano, lì lo abbiamo fatto in positivo».

C’è però un motivo per cui parlando di Bollate lo si definisce “carcere modello”: qui il tasso di recidiva è del 17%, contro una media nazionale del 70, e la ragione si chiama “lavoro”. «Il carcere è soprattutto privazione, non è solo perdita della libertà personale», ha ricordato il vice direttore Cosima Buccoliero intervenendo lo scorso ottobre alla conferenza TEDx di Milano. «E privazione totale: non si può telefonare quando si vuole, non si può mangiare quello che si vuole, non si possono vedere i propri cari quando si vuole, non si può neanche assumere una compressa per il mal di testa. E per qualunque esigenza bisogna chiedere il permesso a qualcuno. Si è consegnati all’istituzione carcere: la persona è dentro e tutto il resto è fuori. Ma il detenuto non è un reato che cammina».

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Quando il lavoro fa bene

Dei circa 58mila detenuti italiani, 15mila lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. «È un numero importante, raddoppiato rispetto al passato perché è stato significativamente incrementato il budget; anche i salari, che erano fermi ai contratti collettivi del ’93, sono stati adeguati», osserva Pagano. «Dal punto di vista trattamentale, però, lavorare per l’amministrazione penitenziaria è poco utile. Il lavoro “contaminato” con l’esterno, la società, fa invece fatica a decollare. In totale riguarda meno di 3000 detenuti, di cui 701 in Lombardia (640 uomini e  61 donne). Il problema è che l’azienda esterna deve pagare in base ai contratti collettivi ma i tempi del carcere non si adattano alle esigenze lavorative: ci sono l’ora d’aria, i colloqui con magistrati, avvocati, famigliari, le esigenze processuali, il calo inevitabile del rendimento perché sei in carcere… Tutti fattori che non coincidono con l’interesse delle imprese. Quando sono stato a Roma abbiamo provato a immaginare una riforma che tenesse conto di questi punti critici ed esaltasse il percorso trattamentale. L’idea era che il detenuto rinunciasse a una parte della  paga stabilita, diciamo 1/3, ma contrattualizzasse sia il lavoro sia la modalità del trattamento. Si poteva anche prevedere di agganciare un’esperienza “fuori”: per esempio, lavori 5 giorni e se il rendimento è positivo nel weekend vai a casa. C’è una sentenza della Corte costituzionale che dice di guardare anche all’interesse delle aziende: è necessaria una trasformazione, che forse potrebbe diventare un cavallo di Troia per aprire il carcere. Contaminare con l’esterno è indispensabile, il reinserimento non si può basare sull’autarchia. Ovviamente non basta che l’azienda entri. Si potrebbe appaltare il lavoro e stop, come succede in altri paesi, invece bisogna creare il dopo. Non è il lavoro di per sé che importa: si figuri, da napoletano preferisco mille volte la pigrizia. È la relazione che trasforma le persone e fa vedere orizzonti più vasti».

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Se il tuo collega è un detenuto

Da qualche tempo questi orizzonti più vasti si possono vedere e toccare, in negozi che propongono oggetti, cibo, vino nati in carcere. A Venezia dalla collaborazione con Mark Bradford, l’artista che ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale delle Arti visive di Venezia, è nato Process Collettivo, a Torino c’è FreedHome. Nella Milano di Pagano, si è da poco conclusa la quinta edizione della mostra mercato I frutti del carcere e da 5 anni al n. 1 di viale dei Mille c’è  il Consorzio Vialedeimille. «Siamo nati come incubatore di start up per imprese ristrette, cioè carcerarie, poi nel 2015 cinque cooperative sociali che lavorano nelle carceri lombarde di San Vittore, Milano-Opera, Bollate, Monza, e che impiegano oltre 100 persone detenute e altrettante fuori, hanno fondato il Consorzio». Elisabetta Ponzone è la voce del Consorzio e l’ideatrice diBorseggi, laboratorio di sartoria nel reparto maschile del carcere di Opera. Borseggi è uno dei progetti di Opera in fiore, che si occupa di gestione del verde, allestimenti e vendita di fiori e piante. Altro progetto della cooperativa è Opera fresca, che consegna frutta e verdura nelle aziende. Poi ci sono E.s.t.i.a., che è nata nel 2003 a Bollate con il teatro: oltre agli spettacoli e alla formazione, offre anche servizi di falegnameria e restauro mobili. Alice è la storica cooperativa sociale di San Vittore, con sartoria (anche forense) e produzione di accessori in pelle. A Bollate, Bee4 Altre Menti coordina un centro servizi e cura l’assistenza per macchine da caffè, mentre Zerograficagestisce una tipografia e propone la digitalizzazione di archivi cartacei. Ai soci fondatori si sono quest’anno aggiunti IN Opera, con un laboratorio di panificazione, e Il Gabbiano che opera fuori dal carcere in un terreno di montagna a rischio abbandono e cura vigne, meleti, orti.

Al Consorzio milanese si trovano vino, marmellate, panettoni, cioccolato, grembiuli gourmet, borse, cashmere, corone dell’avvento, runner, calendari, cartoline, fiori, piante, pane fresco e crostate. Ogni oggetto è anche  la storia di vite pronte al cambiamento e al riscatto sociale.

Come quella di Carlo, padrone di casa del Consorzio, libero dal 14 aprile 2015. «La prima condanna grossa l’ho avuta per traffico internazionale di droga: 4 anni e 9 mesi in Brasile, poi mi hanno estradato, in tutto mi sono fatto 16 anni e due mesi. Poi ho continuato con il traffico e mi hanno riarrestato, in tutto ho passato 23 anni e mezzo in carcere, mezza vita. La prima volta che sono uscito ero incazzato nero, volevo spaccare tutto. L’ho spaccato e poi hanno spaccato me». La svolta per lui è stato il trasferimento a Bollate: «Avevo un lavoro, un’entrata dignitosa per concentrarmi su qualche progetto. Ho cambiato il modo di pensare. In carcere ho cominciato a fare teatro e ho avuto la possibilità di incontrare persone regolari, uno scambio di idee fondamentale. Oltre al Consorzio, lavoro con la compagnia teatrale di Opera e di Bollate. Adesso sto cercando di mettere in piedi una scuola di teatro per i ragazzini del quartiere Trecca, quello in cui sono cresciuto: bisogna prenderli da piccoli, 10 anni è già un’età a rischio».

Gualtiero, invece, al Consorzio lavora grazie all’articolo 21, che consente di uscire dal carcere durante il giorno; ogni sera rientra a dormire a Bollate. «In carcere ho creato Zerografica, una tipografia che dà lavoro ai detenuti come me. È evidente quanto sia importante lavorare, altrimenti non sei niente. Ma se sei solo “dentro” è impossibile creare le basi per un futuro diverso fuori». Gualtiero si è appena laureato.

Sebastiano ha una moglie e quattro figlie: dopo anni passati nel laboratorio di Bollate, è lui che si occupa della panetteria del Consorzio. «L’altro giorno una cliente mentre comperava il pane mi ha detto che suo figlio adolescente sta prendendo una brutta piega. Frequenta sbruffoni e mezzi delinquenti. Le ho detto di portarlo qui, che gli avrei raccontato che cos’è il carcere e chi sono i veri eroi». La signora è tornata. E suo figlio sembra aver capito. «Ogni mattina, quando esco dal carcere e prendo il tram per venire qui a lavorare, guardo sempre le altre persone che viaggiano con me. Ci sono barboni, persone vestite bene e male, giovani e vecchi. Mi piace tantissimo. Seduti lì, io fuori dalla mia cella e loro fuori dalle loro case, siamo tutti uguali».

Carlo, Gualtiero e Sebastiano si possono incontrare in viale dei Mille. Sempre, ma soprattutto a dicembre: oltre a un orario prolungato (dalle 10 alle 19, tutti i giorni), la novità di quest’anno sono “i mercoledì al Consorzio”, con una fetta di panettone offerta ai visitatori ma anche agli anziani del quartiere, con l’invito a comprare regali di Natale belli e buoni, anzi buonissimi. L’appuntamento è per il 13 e il 20 dicembre. Il 13 verrà anche presentata, con un reading, l’antologia poetica Onde anomale (edizioni Zerografica), con i testi dei ragazzi che frequentano il laboratorio di poesia del carcere di Bollate.

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I NUMERI DEL CONSORZIO VIALEDEIMILLE DI MILANO:
(rif: Bilancio Sociale 2016 che mette insieme il lavoro e le esperienze delle cinque cooperative sociali che hanno fondato il Consorzio. Nel 2017 i numeri stanno aumentando)

TOTALE RISORSE UMANE: 198
Detenuti: 120  (30 donne – 90 uomini)
Ex detenuti : 17 (6 donne – 11 uomini, 1 dei quali con disabilità)
Svantaggiati: 3  (1 donne – 2 uomini)
Con disabilità:  18 (7 donne – 11 uomini)
Volontari: 12  (9 donne – 3 uomini)
Normodotati: 28  (12 donne -16  uomini)

PERSONE DETENUTE CHE LAVORANO IN CARCERE: totale 97 (26 donne – 71 uomini)
PERSONE DETENUTE CHE LAVORANO FUORI DAL CARCERE: totale 32 (5 donne – 27 uomini)

TIPOLOGIA CONTRATTO:
Determinato         60 con part time e 46 con un contratto full time
Indeterminato         35 con contratto part time e 36 a tempo pieno
Occasionale         2
Borsa lavoro        9

DOV’È IL CONSORZIO?
A Milano, in Viale Dei Mille 1 – angolo piazzale Dateo
20129 Milano – info@consorziovialedeimille.it
+39 02 36576080 – www.consorziovialedeimille.it
www.facebook.com/ConsorzioVialedeimille

Fonte: Vanity Fair

biografi@museodellamemoriacarceraria.it

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