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52 suicidi in carcere dall’inizio dell’anno, una strage silenziosa

In 17 anni quasi mille detenuti si sono tolti la vita dietro le sbarre. È un tema che porta pochi voti, difficilmente entrerà in campagna elettorale, ma la situazione delle carceri è sempre più difficile

Celle sovraffollate, violenze, pochi agenti. In questi giorni il governo vara nuove misure

L’ultimo suicidio è avvenuto pochi giorni fa nel carcere di Benevento. A impiccarsi è stato un ergastolano di trentanove anni. Dall’inizio dell’anno è il cinquantaduesimo detenuto che si toglie la vita. L’ennesimo dramma che segue di poche ore quanto accaduto anche a Regina Coeli, Terni e San Vittore. Una strage lunga e troppo spesso silenziosa. Stando ai dati di Ristretti Orizzonti, negli ultimi diciassette anni i suicidi dietro le sbarre sono stati 985. Quasi mille morti. «Ogni suicidio è sicuramente una storia e sé – ha spiegato il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella – un gesto individuale di disperazione. Detto questo, ogni suicidio è anche il fallimento di un processo di conoscenza e presa in carico di una persona».

L’argomento non sposta voti, difficilmente entrerà in campagna elettorale. Eppure, nonostante gli sforzi degli ultimi anni, l’universo carcerario italiano resta una realtà difficile. Sempre secondo i dati di Antigone, da Nord a Sud le strutture carcerarie sono sempre più inadeguate e affollate. A fine novembre in tutto il Paese si contavano oltre 58mila detenuti, rinchiusi all’interno di istituti che potrebbero ospitarne solo 50.241. Un tasso di affollamento del 115,1 per cento. È un fenomeno in crescita, solo un anno prima i reclusi erano 4mila in meno. Ma soprattutto è una realtà che in alcune situazioni diventa insostenibile. Basta pensare al poco invidiabile primato degli istituti di pena di Lodi e Larino, dove l’affollamento carcerario ormai arriva al 200 per cento. Il doloroso fenomeno dei suicidi in carcere può essere spiegato anche alla luce di questi numeri. Centinaia e centinaia di vicende drammatiche che «non si prevengono con la sorveglianza asfissiante – insiste Gonnella – ma con i colloqui individuali, il sostegno psicosociale, la liberalizzazione delle telefonate, la sorveglianza dinamica, l’umanità del trattamento».

L’ultimo suicidio è avvenuto pochi giorni fa nel carcere di Benevento. A impiccarsi è stato un ergastolano trentanovenne. Dall’inizio dell’anno è il cinquantaduesimo detenuto che si toglie la vita

Molto è stato fatto, si diceva. In questi giorni il Consiglio dei ministri dovrà varare alcuni decreti attuativi della riforma carceraria. Tra le novità è prevista maggiore attenzione alla sfera dell’affettività, dei rapporti familiari e della salute dei detenuti. Ma soprattutto un maggior ricorso alle pene alternative durante l’esecuzione della condanna. «Anche nel carcere – ha chiarito il Guardasigilli Andrea Orlando in un’intervista a Repubblica– si introduce maggiore responsabilizzazione: più occasioni di lavoro, di studio, di attività. Allo stesso tempo basta automatismi: accedi agli sconti di pena e alle misure alternative solo se c’è un comportamento di responsabilità e segui percorsi di rieducazione». Intanto la situazione resta molto difficile. Alcuni dati presentati in queste settimane a Montecitorio raccontano la realtà dietro le sbarre. Le difficili condizioni della detenzione creano problemi in buona parte degli istituti. Solo nell’ultimo anno, come denuncia un’interrogazione del deputato Mauro Pili, si sono verificate 8mila aggressioni. «A cui si affiancano poco meno di 10mila casi di autolesionismo e circa 11mila manifestazioni di protesta non collettiva». E così le celle diventano un luogo di disagio diffuso. Una realtà preoccupante che in alcuni casi può arrivare a favorire percorsi di radicalizzazione jihadista. È un fenomeno che non interessa solo il nostro Paese, tornato di attualità a un anno esatto dalla morte di Anis Amri (il tunisino autore della strage al mercatino natalizio di Berlino e a lungo detenuto in Italia). Oggi nei nostri istituti di pena ben 506 reclusi sono sottoposti a monitoraggio per il rischio di radicalizzazione. In 240 casi si tratta di controlli ad alto livello.

Il deputato Edmondo Cirielli denuncia anche le condizioni del Corpo di polizia penitenziaria, «sottodimensionato di oltre tremila unità e costretto a turnazioni di lavoro massacranti. Troppo spesso gli agenti sarebbero oggetto di feroci aggressioni da parte dei detenuti: in media 12 ogni giorno sono costretti a ricorrere a cure mediche»

Se crescono gli episodi di violenza, destano preoccupazione anche altri fenomeni. Una lunga interrogazione del Movimento Cinque Stelle passa in rassegna i recenti casi di evasione. Da gennaio a giugno scorsi, così si legge nel documento a prima firma Vittorio Ferraresi, si sarebbero verificate ben 6 evasioni da istituti penitenziari, 17 da permessi premio e di necessità, 11 da lavoro all’esterno, 11 da semilibertà e 21 mancati rientri di internati. Anche questo problema, come i precedenti, è strettamente legato alle carenze d’organico tra gli agenti in servizio. La questione è poco discussa, eppure rappresenta un’altra fondamentale criticità del sistema. «La situazione delle carceri italiane è sempre più drammatica – ha denunciato a inizio dicembre il deputato Edmondo Cirielli – e a farne le spese è soprattutto il Corpo di polizia penitenziaria, sottodimensionato di oltre tremila unità e costretto a turnazioni di lavoro massacranti e straordinari non sempre retribuiti». Le conseguenze non riguardano solo la sicurezza all’interno degli istituti di pena. Stando al parlamentare, la polizia penitenziaria detiene il primato del più alto tasso di suicidi tra tutte le compagini delle forze dell’ordine. «Troppo spesso, inoltre, gli agenti sarebbero oggetto di feroci aggressioni da parte dei detenuti: in media 12 ogni giorno sono costretti a ricorrere a cure mediche». I Cinque Stelle denunciano un incisivo taglio lineare delle piante organiche della polizia penitenziaria. Da 41.335 unità nel 2013, si legge nel documento depositato alla Camera, a 37.181 unità nel 2017.

Il governo risponde. Per migliorare le condizioni carcerarie a breve è previsto l’ingresso di nuovi operatori sociali. Negli ultimi mesi, poi, si è proceduto a sbloccare le assunzioni del personale di polizia penitenziaria. Grazie al Milleproroghe dello scorso anno, è stato avviato l’iter per l’assunzione di 887 agenti che «appena ultimato il corso di formazione andranno a colmare, in parte, il vuoto in organico del corpo di polizia penitenziaria». Non solo. Come ha chiarito l’esecutivo in commissione Giustizia, anche la legge di bilancio «contiene la previsione di una specifica norma volta a consentire l’avvio di procedure straordinarie di assunzioni nell’ambito delle Forze di polizia, tra le quali un totale di 861 destinate ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria». Forse non è ancora abbastanza, ma qualcosa si muove.

Fonte: Marco Sarti, Linkiesta

biografi@museodellamemoriacarceraria.it

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