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Alberto Gaino, Manicomi per bambini

Il manicomio dei bambini. Storie di istituzionalizzazione, scritto da Alberto Gaino presentato al Campus Einaudi di Torino

Il manicomio dei bambini. Storie di istituzionalizzazione, scritto da Alberto Gaino, presentato al Campus Einaudi di Torino

di  Claudio Sarzotti

Quando pensiamo all’istituzione totale raramente richiamiamo immediatamente la figura del bambino. Tutt’al più pensiamo ai figli delle persone recluse che indirettamente sono colpiti da una pena come vittime innocenti. Diversamente da altri Paesi in cui la soglia della responsabilità penale si è abbassata, in Italia anche per i minori che hanno commesso reati la porta del carcere si apre in un’esigua minoranza di casi. Tanto che ci si è dovuti inventare l’escamotage (non privo di conseguenze estremamente negative) di contenere negli istituti penali minorili i “giovani-adulti” che hanno commesso il reato quando erano minorenni fino a 25 anni d’età, in modo da poter giustificare l’esistenza di strutture penitenziarie la cui chiusura avrebbe potuto costituire il primo esperimento di abolizionismo detentivo.

Ma ci sono stati anni, non molto tempo fa, in cui i bambini venivano rinchiusi neanche perché avevano commesso reati (alcuni erano così piccoli che nemmeno sarebbero stato in grado di farlo), ma solamente perché abbandonati da famiglie spezzate o perché particolarmente vivaci o disobbedienti o con lievi deficit mentali. È la storia drammatica e, per certi aspetti, “a cui non ci si riesce a credere” che Alberto Gaino ha rievocato nel suo libro Il manicomio dei bambini. Storie di istituzionalizzazione, edito dalle Edizioni del Gruppo Abele. Ex giornalista del quotidiano torinese La Stampa, figura di cronista d’inchiesta che purtroppo sta scomparendo nel panorama mediatico odierno, Gaino è venuto a presentare il suo libro al Campus Luigi Einaudi raccontando le terribili vicende che portarono alla chiusura del manicomio per bambini di Villa Azzurra, una palazzina collocata in un parco ai confini tra Collegno e Grugliasco che ebbe gli onori della cronaca nel luglio del 1970 a causa di un’inchiesta del settimanale l’Espresso che riprese anche fotograficamente gli orrori di quel luogo, tra cui una bambina nuda legata ad un letto di contenzione, crocifissa “per il suo bene”.

“A Villa azzurra fin dagli anni ’50 la pratica dell’elettroshok era diffusa a scopo punitivo” ha raccontato Gaino davanti ad una platea di studenti sbigottita, “veniva effettuata spesso senza alcuna diagnosi specifica e neanche menzionata nelle cartelle cliniche. I bambini più vivaci venivano legati al letto dalle cinque del pomeriggio sino alle sette del giorno dopo. Quello che mi ha colpito nell’esame delle cartelle dell’archivio che ho consultato è come esse fossero quasi del tutto vuote: a volte solo il certificato di ricovero e il timbro dell’avvenuta morte nell’ospedale psichiatrico. Ragazzi di 20 anni dichiarati deceduti “per arresto cardiaco” senza alcuna indagine ulteriore. Tutti moriamo di arresto cardiaco … Oppure cartelle piene solo di annotazioni di carattere disciplinare: il che fa capire come l’istituto fosse molto più simile ad un carcere che ad un ospedale”.

Il libro ricostruisce, a partire dalle scarne annotazioni delle cartelle cliniche e talvolta con la testimonianza di operatori e degli stessi degenti, le vicende di singoli internati. Esistenze di “bambini da scartare”, in alcuni casi consumatesi senza vie d’uscita all’interno dell’istituzione totale, in altri con esiti meno tragici attraverso lunghi periodi di risocializzazione in strutture di accoglienza finalmente attente ai bisogni di persone fragili e spesso danneggiate irreparabilmente dalla detenzione. Una pagina nera della nostra storia recente che è stata scandalosamente rimossa, così come spesso viene dimenticata la condizione delle persone che oggi sono sofferenti a causa di patologie psichiatriche. Su questo tema Alberto Gaino ha voluto concludere il suo intervento: “Ancora oggi, con i tagli che sono stati fatti al servizio sanitario nazionale e in particolare ai servizi per il disagio mentale dei minori, ci sono situazioni in cui tale disagio non viene trattato alle prime manifestazioni e tende a cronicizzarsi. E allora che vediamo sorgere queste case famiglia che assomigliano spesso a manicomietti dove si trova un operatore sanitario, anche molto bravo, che gestisce da solo venti persone; tutte tranquille perché il bombardamento chimico è stata la soluzione “democratica” che si è trovata per evitare gli orrori del passato”. Ecco la nuova frontiera della reclusione della malattia mentale: demolite le mura materiali dei manicomi ricompaiono le mura “chimiche” del trattamento farmacologico a puri scopi contenitivi. Una deriva da istituzione totale distopica che meriterebbe la denuncia di qualche nuovo Basaglia.

biografi@museodellamemoriacarceraria.it

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