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Il lungo cammino dell’attesa riforma penitenziaria arriva alla meta

Carcere. Con il varo dei decreti delegati si è concluso un percorso iniziato nel 2013. Ma c’è ancora molto da fare

In extremis, il governo ha approvato le nuove norme penitenziarie. La riforma è quasi arrivata al traguardo a quarantadue anni dall’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario che a sua volta sostituiva il regolamento fascista del 1931 (fondato sugli assiomi del lavoro obbligatorio, del silenzio e della preghiera) e a quattro anni abbondanti dalla condanna umiliante della Corte europea dei diritti umani per le condizioni degradate di vita e i diritti negati nelle nostre carceri. Le Commissioni Giustizia delle due Camere hanno a disposizione, anche nel caso di scioglimento delle stesse, quarantacinque giorni per esprimere un parere sulla conformità dei decreti alla legge delega.

LA RIFORMA È ESITO di un percorso lungo, articolato, importante che merita di essere riassunto seppur in poche righe. Molti sono i protagonisti di questo processo. Era il 2009 quando l’Italia fu condannata dalla Corte di Strasburgo nel caso Sulejmanovic per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani del 1950 che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. Il detenuto era costretto a vivere in uno spazio troppo ristretto – meno di tre metri quadri – per un periodo di tempo significativo. Inoltre mancava nel nostro ordinamento un meccanismo di tutela giurisdizionale effettiva nel caso di violazione dei diritti del recluso.

Nel frattempo il numero di detenuti cresce a dismisura, fino a quasi 68 mila unità alla fine del 2010. Il sovraffollamento raggiunge il tasso drammatico del 170%, ossia cento posti per centosettanta detenuti. Il Governo Berlusconi dichiara addirittura lo stato di emergenza nazionale prodotto dal sovraffollamento, come se fosse una catastrofe naturale e non invece l’esito di tre legge malefiche, ossia la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe, la ex Cirielli sulla recidiva. In quel periodo, Antigone organizza, direttamente o indirettamente, una vera e propria class action. Più di mille detenuti sono aiutati a presentare ricorso alla Corte europea. Altri tremila si muovono per altre vie.

Sino al 2013 non accade nulla, tanto da costringere i giudici europei a emettere una sentenza di condanna “pilota”, che riconosce il carattere sistemico delle violazioni riscontrate. A gennaio 2013 l’Italia è condannata all’unanimità nel caso Torreggiani. La decisione è confermata dalla Grand Chambre a maggio 2013. Nelle prigioni italiane la gente reclusa è ordinariamente maltrattata.

È A QUESTO PUNTO che parte un processo riformatore. Non era scontato che avvenisse. Della giustizia internazionale c’è chi come il Regno Unito ha deciso di fare carta straccia. La neo-nominata ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri nomina due commissioni. Quella presieduta da Mauro Palma elabora una serie di proposte che mirano a stravolgere in meglio la vita dentro le galere: si scrive che essere detenuto non significa essere costretto a stare ventidue ore in una cella (spesso stretta, affollata e malmessa). L’altra commissione, con finalità di revisione normativa, è presieduta dal professore Glauco Giostra. Ovviamente le resistenze sono molte. A lavorare per superarle l’instancabile Marco Pannella con il suo mondo Radicale e l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano che invia su questo tema un messaggio alle Camere, l’unico nei suoi nove anni presidenziali.

Tra la fine del 2013 e il 2015 vengono approvate norme importanti in materia di liberazione anticipata, misure alternative, custodia cautelare, rimedi giurisdizionali, rimedi risarcitori, istituzione di autorità di garanzia alla quale è nominato proprio Mauro Palma. La Corte Costituzionale, nel frattempo, cancella pezzi significativi della legge Fini-Giovanardi sulle droghe.

Alla Giustizia arriva il ministro Andrea Orlando che ha un’intuizione importante: istituisce gli Stati generali sull’esecuzione della pena. Diciotto tavoli con la partecipazione di operatori penitenziari, accademici, esperti, componenti di associazioni. Duecento persone a lavorare per proporre radicali cambiamenti normativi e operativi nella vita penitenziaria.

A fine 2015 i detenuti sono 52 mila circa, ossia 16 mila in meno rispetto a due anni prima. Un risultato notevole ottenuto senza far uso di provvedimenti di clemenza. A maggio 2016 gli Stati generali concludono i loro lavori alla presenza del capo dello Stato nel carcere romano di Rebibbia. Il clima politico e culturale inizia però a deteriorarsi. La riforma penitenziaria va a finire in un grande contenitore dove ci sono anche norme di classica ispirazione securitaria, come l’aumento di pene per i furti.

A giugno 2017 la legge penitenziaria passa in via definitiva. È una legge delega. Alcuni punti (quali ad esempio diritti dei detenuti stranieri, libertà di culto, diritti delle donne, nuove regole per i minori) sono il frutto di uno specifico lavoro di advocacy che Antigone ha svolto con i componenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. A luglio il ministro Orlando nomina tre commissioni per elaborare i decreti. A coordinare i lavori viene richiamato Glauco Giostra. Un ampio gruppo di esperti coordinato da Antigone elabora proposte alternative avendo contezza che nelle commissioni ci sono molte anime, alcune delle quali conservatrici. Forte è la pressione della radicale Rita Bernardini per far sì che i lavori si accelerino.

SIAMO AL DUNQUE. I decreti per riformare l’ordinamento penitenziario per adulti, per istituirne uno per minori, in materia di misure di sicurezza, di misure alternative e sulla giustizia riparativa hanno preso forma. Non ne conosciamo ancora i contenuti. Essendo un articolato lungo e complesso, va analizzato norma per norma. Quello che vorremmo, affinché non possa considerarsi un’aspettativa delusa, è un grande rilancio delle misure alternative (di buon auspicio la previsione nella legge di stabilità dell’assunzione di circa trecento assistenti sociali) togliendo paletti e preclusioni, il superamento dell’ergastolo ostativo, una forte liberalizzazione della vita carceraria improntata troppo spesso alla vessatorietà inutile, l’intensificazione dei rapporti tra i detenuti e il mondo esterno anche attraverso la tecnologia, il riconoscimento del diritto alla sessualità, l’abolizione delle misure di sicurezza detentive, un ordinamento penitenziario per gli istituti per i minori improntato a una logica esclusivamente pedagogica nonché mille altre cose di buon senso come l’attenuazione del modello disciplinare. Il detenuto non è un oggetto nelle mani dei suoi custodi.

Per questo motivo è previsto nella legge delega che il regime di vita nelle carceri debba sempre essere rispettoso della dignità della persona. È questo un cambio di paradigma che forse non travolgerà lo spirito correzionalista della legge penitenziaria del 1975 ma potrebbe fungere da limite a tentazioni di abusi, arbitrii, maltrattamenti. Nel nome della dignità ad esempio va radicalmente ridotto l’impatto dell’isolamento per gli adulti e ancor di più per i ragazzi. L’isolamento fa male alla salute fisica e a quella psichica. La dignità umana è non degradazione dell’uomo a cosa. È fondamento di tutti i diritti.

Il 2017 è stato un anno odioso per i diritti umani. Sono stati sdoganati razzismo e intolleranza. In questo clima arriva la riforma penitenziaria. I detenuti sono risaliti fino a 58 mila unità. Il sovraffollamento si è riproposto come tema pubblico. Taluni sindacati autonomi di Polizia penitenziaria hanno iniziato a contestare riforme di buon senso come la sorveglianza dinamica, ossia il fatto che il detenuto non debba stare chiuso in cella tutto il giorno come un animale in gabbia.

Va dato atto al ministro della Giustizia Orlando di avere resistito alla platea giustizialista. Ora si tratterà di vedere cosa è scritto nelle norme, ossia se trattasi di una piccola o di una grande riforma. Non sarà facile nei prossimi anni avviare un altro percorso riformatore. Quello iniziato nel 2013 si è concluso. Speriamo bene e auguri per un 2018 con meno sbarre e più dignità.

FONTE: Patrizio Gonnella, IL MANIFESTO

biografi@museodellamemoriacarceraria.it

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